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giovedì 29 gennaio 2009

Malattia e genitorialità-2 CASO 1/ La malattia congenita



La malattia congenita è il caso di malattia del bambino che in assouto provoca maggiore squilibrio e sentimenti negativi all'interno dell'ambiente famigliare. Prima di tutto la coppia genitoriale di fronte alla presa di coscenza della malattia genetica del loro bembino subiscono una pericolosa discrepanza tra ciò che vedono al momento della nascita e ciò che invece si aspettavano durante il periodo dell'attesa,questo provoca un sentimento predominante che è il senso di colpa,verso il comportamento della madre durante la gravidanza,o per la componente genetica "malata"trasmessa al figlio. Al momento della nascita il genitore deve quindi in un certo senso elaborare il lutto del bambino che aveva idealizzato e nello stesso tempo gestire l'angoscia per il bambino nato malato reale. A questo primo impatto si sussegue il momento della diagnosi della malattia,la prospettiva di un lungo iter terapeutico e diagnostico,e le conseguenti ansie e timori per il futuro sociale del bambino che diventerà adulto. La diagnosi corrisponde al primo vero choc che porta all'attivazione immediata del primo meccanismo di difesa:LA NEGAZIONE nei confronti della diagnosi,del medico (questo porta spesso a voler sentire altri pareri),e in alcuni casi anche del bambino (nei casi estremi si arriva addirittura alla speranza che il bambino muoia). Questo sentimento precipita all'interno della coppia al punto da causare un'allontanamento,dovuto talvolta ad una sorta di isolamento (chiusura in sè stessa) da parte della madre che impiega molto più tempo a metabolizzare il trauma,perchè si trova a dover sciogliere il già comunque stretto legame instaurato con il bambino delle aspettative in un cert senso già generato durante l'attesa. I sentimenti che si susseguono sono il senso di colpa (matabolizzare e chiedersi il perchè),rabbia,frustrazione (collegato in un certo senso al sentimeno di impotenza),lutto (nei confronti del progetto esistenziale) e infine la razionalizzazione. Una delle tecniche più comuni per fronteggiare questi sentimenti è l'identificazione da parte dei genitori con il personale sanitario che li porta a capire ed imparare come prendersi cura del proprio figlionel quotidiano e nelle situazioni di emergenza. Il sentirsi davvero utili in questo senso compensa in parte il sentimento negativo di non sentirsi bravi genitori che,se trascurato potrebbe avere effetti negativi sul rapporto con il bambino.

martedì 27 gennaio 2009

Malattia e genitorialità-1

Come si colloca la malattia del bambino in una dimensione famigliare pocanzi presentata che presenta di per sè innumerevoli problematiche?

La malattia può essere vissuta da parte dei genitori come MINACCIA che provoca sensazioni di angoscia,di rifiuto,di negazione e una sorta di fuga dall'idea o addirittura dalle responsabilità che questa comporta. Oppure può essere vissuta come una sorta di FALLIMENTO che provoca senso di colpa nei genitori;questo accade sopratutto nel caso delle malattie congenite (dalla nascita),genetiche,o contratte durante il periodo della gravidanza. In ognuno dei due casi si ha una improvvisa compromissione del progetto esistenziale del figlio e dell'equilibrio famigliare,poichè la malattia del bambino provoca una delusione delle aspettative ontologiche (insieme dei desideri che durante il periodo dell'attesa della nascita si costruiscono per il propio figlio) e costringe i genitori a scontrarsi con una dura realtà che spaventa e di fronte alla quale non sono preparati.
Questo sconvolgimento degli equilibri e delle aspettative provoca degli esiti sull'atmosfera emotiva dei genitori: ANGOSCIA derivata dal timore della morte del figlio,cioè dal pericolo di perdere l'oggetto del proprio investimento emotivo,FRUSTRAZIONE legata al "lutto" per il proprio progetto educativo-assistenziale e infine come prima accennato SENSO DI COLPA,causato da presunte responsabilità agite intenzionalmente o per negligenza (spesso scaricata dall'uno all'altro nella coppia,compromettendo nuovamante quel che resta del già precario equilibrio).

lunedì 26 gennaio 2009

Famiglia e società



La famiglia così come presentata nel post precedente và inevitabilmente a collocarsi in un contesto sociale che la trasforma da unità emozionale chiusa a "luogo della società" in cui si sperimenta il vivere sociale e da cui si fa attraversare. Da questo incontro-scontro provengono una sorta di "fragilità epocali" che sono i problemi provenienti dalle caratteristiche sociali che si riperquotono ulle dinamiche interne della famiglia. Innanzi tutto è necessario prendere in considerazione la nuova funzione della famiglia derivata da svariati mutamenti culturali avvenuti negli anni,infatti se nei secoli passati la funzione della famiglia era quella primaria di garantire la sopravvivenza in cui crescere in modo sano i figli,in questi ultimi anni è diventata luogo nel quale promuovere la serenità dei membri e di protezione dalle frustrazioni provenienti dall'esterno,questo la rende inevitabilmente più esposta al fallimento rispetto alla vecchia concezione. Questa nuova famiglia prevede anche dei nuovi ruoli genitoriali nati per contrasto ai vecchi ruoli dei loro genitori e quindi un vero e proprio rifiuto al modello di educare dei loro padri e madri che però si contrappone alla richiesta di aiuto quando questi ultimi diventano nonni,ai quali per molteplici motivi vengono affidati spesso i nipotini. A questo si aggiungono le famiglie sole;chiuse nel loro nucleo a causa della fretta derivata dai tempi lavorativi o addirittura dal timore dello scontro sociale,questo porta ad una scarsa rete di relazioni sociali,questa ottica si contrappone alla famiglia vecchio stampo in cui era normale il fenomeno della "genitorialità diffusa" basata sulla fiducia nell'altro anche come punto di riferimeno a cui affidare i figli. Questo cambiamento di stato è accompagnato talvolta da una distorsione della scelta di diventare genitori,alla quale si arriva in alcuni casi per motivi poco sani per il benessere del nascituro,ad esempio per necessità di completare identità vacillanti degli adulti,per ottenere una sorta di indipendenza dai genitori,o per dimostrare qualcosa alla società,a questo si accompagna spesso una distorsione nei valori perseguibili,quindi la tensione e attenzione eccessiva al benessere economico che può comportare una pericolosa protezione dei membri al punto da renderli impreparati di fronte anche alle più banali difficoltà. Infine per completare il quadro a queste oggettive problematiche si aggiungono le eventuali fragilità personali degli adulti nel diventare genitori;le più note caratterizzanti del quadro sociale odierno sono la costruzione della figura del padre degli affetti,che ha quindi la condizione famigliare in cui dover svolgere la funzione genitoriale materna con allo stesso tempo il dover di mantenere un'autorità limite,mentre da parte della madre spesso cresce il sentimento di non sentirsi una buona madre a causa di eccessivi impegni di lavoro,ma con il filo conduttore di esercizio delle funzioni di madre.

In tutti questi casi il segreto stà nella capacità di costruire e mantenere legami STABILI e duraturi tra i membri della famiglia,nata per essere un punto di riferimento che deve rimanere tale durante tutto il percorso di vita.

domenica 18 gennaio 2009

False credenze sul dolore

Con questo mio post desidero invitarvi a riflettere su quanto talvolta le strutture sanitarie e gli operatori che lavorano in ambito sanitario possiedano e portino avanti convinzioni sui pazienti,sulla malattia e in questo caso sulla concezione del dolore che siano altamente distorte con il rischio di orientare un intervento in modo errato.
Riporterò alcuni pregiudizi sul dolore del bambino che sono stati rilevati attraverso una ricerca attuata tramite un questionario agli operatori in campo sanitario:

-I ambini in particolare se piccoli non provano dolore o non ricordano il dolore provato.
Falso-poichè esiste una memoria fisica del dolore che permette di "ricordarlo"anche a distanza di anni.

-Il dolore non uccide e non ha effetti a lunga durata.
Falso-lo stress psicologico dato dal dolore può condurre alla morte.

-i bamb.recuperano in fretta,un bamb.attivo non prova dolore.
Falso-naturalmente i tempi di recupero sono soggettivi e talvolta sono maggiori se il bambino è spaventato dal proprio stato fisico.

-C'è un grado di dolore per ogni sintomo,di più non è dolore ma paura.
Falso-al di là dell'oggettività di un sintomo agisce la soggettività e la fragilità fisica o psicologica del singolo individuo.

-I bambini dicono sempre la verità sul dolore provato.
Falso-i bambini mentono quando capiscono che il loro dolore è causa di sofferenza per le persone che amano e quando capiscono che ammettere il dolore significa urgenza di un ulteriore provvedimento(es.iniezione).

-I genitori sanno tutto sul dolore del loro bambino.

-Il bambino piange per paura non per dolore.
Falso-al più la paura è un'aggravante dello stesso dolore.

giovedì 8 gennaio 2009

Sensibilità:un'arma a doppio taglio?

Secondo voi....essere sensibili nel nostro lavoro è un limite o una risorsa? è una ulteriore barriera o un elemento che favorisce la buona riuscita di una relazione che si possa chiamare educativa???
A mio parere può essere una sottile arma a doppio taglio,che può creare un ponte ma nello stesso tempo essere un vincolo,credo che un buon educatore deve sapere quando è il caso di applicare il cuore ma deve sempre comunque essere guidato da una pianificata linea guida derivante dalla ragione,solo così si può distinguere un'intervento che si può dire "professionale "su ogni fronte.
Mi sono sentita di accendere questo dibattito perchè essendo a stretto contatto con i bambini malati è facile perdere la strada che fa rimanere con i piedi saldi a terra,come è facile farsi ingannare dalla troppa emotività derivata dalla sensibilità che è una dote necessaria per qualsiasi operatore sociale....ma più che sensibilità direi senso di UMANITA'quello che ci fa superare l'egoismo e ci fà capire di essere davvero adatti ad un lavoro che si occpa non solodella collettività,ma pure della salute e del benessere sociale...ben lontano dall'egoismo individuale.
Essere sensibili a mio avviso è tuttavia indispensabile nel nostro lavoro,e si tratta di sensibilità anche nel omento in cui si avverte di dover necessariamente prendere le distanze da un caso per concentrarsi sugli scopi e gli obiettivi di un progetto...ma è così difficile lavorare con le persone e ricordarsi di applicare ogni cosa che in 3 anni a livello prettamente teorico ho imparato....entrano in gioco tante dinamiche che fanno nettamente passare la teoria in secondo piano.

venerdì 2 gennaio 2009

Primo approccio educatore-bambino


Attraverso la mia esperienza di tirocinio presso il reparto di pediatria dell'ospedale di Legnago (VR) ho potuto constatare di persona quanto sia delicato il rapporto diretto con qualsiasi tipo di paziente ricoverato in un ospedale per brevi o lunghe degenze,di quanto sottile sia,sopratutto se si tratta di un piccolo paziente,la linea tra l'approccio utile al fine di iniziare una relazione educativa e l'invadenza. Mi spiego meglio;nel mio caso il mio compito sta nel progettare interventi educativi di brevissima durata incentrati su utenti che spesso vedo solo da un paio di ore al massimo di una giornata intera,solo nei casi più gravi dai 2 ai 10 giorni.Ora,immaginiamoci un bambino provato da una qualsiasi malattia o trauma,preso dall'ambiente degli affetti per eccellenza quale è la casa famigliare e "sbattuto" in un altro luogo ostile,per nulla famigliare circondato da persone che in un modo o nell'altro invadono la sua privacy,all'apparenza "cattive" (perchè nella mente del bambino il solo dato di fatto che queste gli provochino dolore fisico va immediatamente a collegarsi con l'etichetta negativa) e con tutti gli stress derivanti da:tempi ospedalieri,preoccupazione dei genitoiri,malessere fisico al quale non saper dare una spiegazione,anche se si tratta di un semplice disagio passeggero dovuto ad un banale esame del sangue...come intervenire?
Il reparto in cui faccio esperienza è dotato di una sala giochi situata non a caso proprio di fronte alla porta di entrata del reparto stesso,quella stanza la chiamo"il mio regno"poichè la mia presenza è strettamente collegata al solo esistere di quella stanza. Prima o poi tutti i bambni ricoverati,di passaggio o in OBI (osservazione breve intensiva)passano di lì,osservando il continuo andirivieni e il groviglio di umori e sensazioni che passano durante una sola giornata ho sviluppato una teoria;secondo me la cosa migliore è che i bambini provino interesse per qualcosa che sto facendo o per un'attività che sto già in prima persona andando a svolgere,permettendo così un primo approccio con alla base l'interesse e la curiosità fatto di sguardi,di sorrisi e di attenzioni. Successivamente andrò io a rompere il ghiaccio con le prime frasi di conoscenza per procedere poi con il supporto dei genitori con attività di animazione,ricreazione ed educazione sanitaria. Procedendo in questo modo ho potuto notare che il bambino non si sente aggredito dalla persona estranea e 9 volte su 10 non mette in atto meccanismi di difesa o di rifiuto,può sembrare banale ma ho visto che è molto efficace. Lavorare con i bambini tra le mille cose permette di sviluppare un occhio di riguardo su alcune cose che spesso vengono considerate scontate o ancora peggio banali a priori,spero sia utile a far riflettere...