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giovedì 12 febbraio 2009

L'educazione del bambino malato


Per affrontare il pericoloso e tortuoso percorso che porta all'educazione che ha per utente il bambino malato è necessario che l'educatore possieda alcune caratteristiche fondamentali:
VOLONTA'-lavorare sul desiderio e la speranza del bambino di guarire,di realizzare i suoi desideri,concentrandosi sullo sviluppo e il mantenimento della fiducia nella terapia e nella guarigione.
COMPETENZA-guidare alla gestione della malattia e della terapia in autonomia basandosi sullo sviluppo della stima di sè attraverso la ricerca di diverse capacità che comprendono divrse forme di espressione,di studio,di arte,di musica nelle queli la malattia non è un'ostacolo(potenziamento dello sviluppo prossimale).
FINALITA'-capacità di porsi obiettivi e fini adeguati alle personali possibilità e risorse del bambino.
Queste caratteristiche devono essere rese nel concreto dell'intervento educativo tenendo sempre presente i fattori determinanti l'esperienza di malattia,che sono i sentimenti predominanti del vissuto di malattia del bambino già citati nei post precedenti:
Senso di abbandono:dovuto alla separazione fisica dalle figure di riferimento affettivo che risulta ingiustificata,incomprensibile e per questo insostenibile,ma anche provocato da un'incostante e confuso atteggiamento di distanza emotiva di alcuni genitori.
Senso di colpa:dovuto alla convinzione del bambino che la malattia e il dolore siano in qualche modo una conseguenza di una sua colpa e il fatto che ai suoi occhi non siano in grado di proteggerlo dalla frustrazione che questi fattori determinano,rappresenta una sorta di conferma della sua convinzione.
Senso di morte:fantasie di distruzione e di annientamento provocate dal deperimento fisico e alla non comprensione di tale accadimento.
Perdita di sè:Perdita dell'idea del sè a causa di un'evento terribile ed imprevisto che agisce modificando il corpo e i progetti di vita.
L'educatore deve quindi progettare un'intervento educativo personalizzato a seconda delle caratteristiche e delle esigenze del singolo,orientato allo scopo di aiutere il bambino a riappropriarsi di un orizzonte di senso positivo tramite esperienze mediate tra il sè interiore,la realtà malattia e l'ambiente circostante creando uno spazio e un modo destinato ed adatto alla riflessione sul sè.Gli obiettivi di questo intervento devono essere incentrati ad aiutare il bambino a riappropriarsi di un'orizzonte di senso non pervaso dal dolore,dall'angoscia,bensì arricchito di speranza e desiderio di vivere nonostante le difficoltà della malattia,come a sostenere il mantenimento delle capacità acquisite e non compromesse.

lunedì 9 febbraio 2009

Il bambino e l'ospedale


Nell'ottica della presa di coscenza di qualsivoglia malattia,intervento o disturbo congenito,non si può trascurare l'assidua frequentazione del bambino e i suoi genitori con l'ambiente ospedaliero o struttura sanitaria,che in questo caso l'ospedale diventa non solo struttura finalizzata alla guarigione,alla cura,o alla terapia,bensì agli occhi del bambino diventa una sorta di "prigione",poichè si trova di fronte ad una vera e propria istituzione rigida,con regole,competenze,spazi,tempi e figure dietro alle quali si nascondono molte persone,che rappresentano un limite non trascurabile per il bambino che deve suo malgrado entrarne in contatto. Le dinamiche di una struttura sanitaria sono infatti severe e frenetiche,e spesso non hanno spazio per il lato umano della relazione,così come le figure che operano in tale campo spesso non hanno tempo nè strumenti adeguati per curare anche questo lato,trascurando così talvolta in modo involontario un'importante elemento che entra in gioco anche dal punto di vista della terapia e della cura:lo stato di benessere anche se relativo dato dalla relazione umana.
Per essere più concreta riguardo alle dinamiche interne,riporterò di seguito l'estratto da una ricerca operata da alcuni studenti in diversi ospedali negli anni 70',questi dati saranno spunto per una riflessione comparata con la situazione ospedaliera di oggi:
Assetti organizzativi:Prima cosa tra tutte all’interno della struttura ospedaliera si è andata cercando l’unità bimbo-madre senza peraltro trovarla,perché per essa non c’è ne tempo,ne spazio,ne modo…
Due,come due modi per intendere il tempo:quello di visita e il tempo materno,il primo è spesso ristretto e con orari davvero impossibili;il secondo,spesso privato dal primo non fa che permettere all’ansia di crescere sia da parte della madre preoccupata per il figlio,sia da parte del bambino che non può comprendere la sottrazione dalla stessa.
Zero,come la possibilità di spazio che ha la madre se si deve intrattenere con il figlio;i lettini sono troppo vicini e non esistono spazi adibiti davvero all’assistenza della madre che in queste condizioni così precarie non si può senz’altro prendere cura del bimbo in modo considerevole,ne tanto meno tentare di ristabilire la complicità e l’intimità che per il bimbo è sempre e comunque di vitale importanza.
Uno,come l’unico e insostituibile modo che hanno di capirsi e di sostenersi l’un l’altro il bambino con la sua mamma,che viene bruscamente minato e infine privato da quel tempo e quello spazio che senza il minimo scrupolo tolgono alla degenza tutto ciò che di davvero umano e vivo per il piccolo ci possa essere.
La presenza della madre in reparto è considerata brutalmente un ingombro,come vedremo anche di seguito,il quale cerca in ogni modo per quanto possibile di eliminarla,senza considerare invece l’importanza che,in termini anche medici,può avere pure sulla stessa terapia oltre che sul morale del bambino o sul mantenimento o costruzione di identità.
Il medico:Tutti i medici intervistati,con qualche lieve sfumatura,hanno espresso qualche insoddisfazione per il tipo di assistenza pediatrica da loro stessi erogata,questo nasce dalla apparente consapevolezza che le esigenze del bambino ricoverato non si esauriscano nell’assistenza medica,ma nello stesso tempo la sfiducia nell’utilità e nella possibilità di tradurre tale consapevolezza in proposte pratiche.
Questo a parer loro è imputabile all’insufficienza di mezzi,all’eccesso di compiti,alla scarsità del personale,alla pesantezza di turni,e tutto questo secondo i medici non può coincidere con l’ulteriore ingombro creato dalla presenza delle madri in reparto. Queste giustificazioni sono in realtà tentativi più o meno inconsci di rimuovere dalla coscienza il problema di fondo,annullano i termini stessi del problema e con essi il dovere di riconoscerlo e la necessità di risolverlo. Inoltre è stato riscontrato un preoccupante processo di cosificazione del paziente da parte del medico,quindi nel caso della considerata unità madre-bambino,il bambino è l’organo malato della madre e la madre è la coscienza vigile del figlio,questo rende il paziente ancora più complesso da dover affrontare,ed è questo stesso motivo che produce nel medico una notevole ansia classificata come “orrore della madre”,ecco quindi perché cerca in tutti i modi di allontanarla,per potere esercitare attraverso la medicina strumentale il potere del comando senza una unità vigile a cui dover in ogni caso rendere conto.
L’infermiera:”l’infermiera è nell’ospedale in rapporto con il suo reparto o sala o servizio come l’operaio è nella fabbrica in rapporto con la sua macchina ed il suo lavoro:come lui non può separarsene e deve difendersene nello stesso tempo”
Le sue prestazioni sanitarie sono qualitativamente le più povere,largamente sopraffatte da quelle di servizio,mai comunque gratificate di motivazioni e di ruoli( “…l’infermiera è l’ultimo anello e sa di esserlo”). La maggior parte delle infermiere sostiene che la presenza delle madri finisce per complicare il loro lavoro già comunque faticoso,ma nonostante questo spesso il bambino ospedalizzato e la madre trovano proprio nell’infermiera quella tenerezza e quell’attenzione umana che hanno inutilmente cercato in altri senza mai averla trovata.
(Lettura e commento critico al saggio:
“Il bambino è dell’ospedale?”
A.Maccacaro,Feltrinelli,Milano 1976)
Alla luce dei dati che ho riportato si può davvero dire che gli anni hanno portato una sorta di progresso?trascurando alcune rare e preziose strutture specifiche dotate di ambienti e organizzazioni atti allo sviluppo del progetto educativo,si può affermare che oggi nel 2009 le strutture ospedaliere possiedono elementie e risorse umane e materiali per operare nel campo della relazione educativa oltre che naturalmente della cura?come sono cambiate le figure professionali e gli ambienti?

mercoledì 4 febbraio 2009

Malattia e genitorialità-5 Conclusioni



“Il bambino piccolo,in particolare tra il secondo semestre e il terzo anno di vita,ha necessità di un regolare rapporto con la madre o con chi ha assunto per lui un ruolo. Una interruzione prolungata di questo rapporto (…)gli è incomprensibile perché gli è impossibile razionalizzare e quindi accettare la nuova situazione che egli vive esclusivamente come perdita o deprivazione materna cioè di tutto quanto per lui significava protezione e sicurezza”

(“Il bambino è dell’ospedale?”-A.Maccacaro,Feltrinelli,Milano 1976)


Il bambino può quindi risentire in modo doloroso di fronte all’esperienza dell’ospedalizzazione perché è da lui vissuta come una privazione forzata,o,nel peggiore dei casi può anche essere vissuta psicologicamente come un allontanamento volontario da parte della figura di riferimento che fino a quel momento era stata vista come sicurezza e unico richiamo solido alla verità,questo perché in genere il bambino molto piccolo,non ha ancora gli elementi per comprendere fino in fondo le reali dinamiche di ciò che gli accade ne gli viene spiegato perché reputato non in grado di comprendere. La figura di riferimento in tal senso è generalmente la madre,ed è in lei che il bambino si specchia e con cui ha un legame indissolubile fatto anche solo di sguardi o di gesti che per nei primi mesi di vita costituiscono tutto il suo mondo conosciuto,gli unici elementi tramite il quali esso può conoscere e calibrare la realtà.

Ecco perché un ricovero in ospedale,anche se di breve durata può essere pericoloso per quanto riguarda la costruzione dell’identità del bambino,ecco perché è indispensabile che ad esso siano forniti tutti gli elementi necessari per comprendere per quanto possibile la situazione che lui stesso sta suo malgrado vivendo.
La prima osservazione parte quindi dal legame affettivo,ed è per questo motivo che ho scelto di dilungarmi sul rapporto genitore -figlio e sulla questione complicata dei ruoli,l’assoluta importanza della figura di riferimento come primo strumento di indagine e conoscenza da parte del piccolo,poichè in realtà non è semplicemente questo, soprattutto durante i primi mesi di vita è proprio una sorta di prolungamento di esso stesso, e solo comprendendo questo reale meccanismo si possono capire anche gli sviluppi emotivi che un distacco dato dall'ospedalizzazione,come l'esperienza in sè possono provocare all'interno di una identità che si stà affermando.

Malattia e genitorialità-4 Esiti emotivi possibili



I genitori possono reagire all'impatto con la malattia del figlio con diversi stati d'animo come da me citato nel post precedente,questi stati d'animo,sensazioni,emozioni si ripercquotono sullo stato emotivo del bambino già provato dalla malattia,avendo degli effetti spesso negativi.
Gli esiti emotivi possibili sono:


(GENITORE) Iperprotezione:
Derivato da uno stato di paura che porta al compensamento del dolore subito con affetto talvolta esagerato.
provoca
(FIGLIO) Dipendenza

(G) Rifiuto-delega:
quando non avviene il superamento della frustrazione primaria.
provoca
(F) Insicurezza:
momentanea o permanente perdita del punto di riferimento.


(G) Permissività:
ulteriore tentativo di superare gli stati di ansia.
provoca
(F) Egocentrismo:
anche a livelli molto alti al punto da impedire le relazioni.


(G) Mancate verità:
decisione di omettere alcuni dettagli o parti sostanziali della malattia,del suo decorso e della terapia,con la convinzione di risparmiare gli stati di ansia e di angoscia al proprio figlio.
provoca
(F) Asia:
Paradossalmente il non sapere o il non comprendere fino infondo provoca nel bambino un ulteriore malessere che lo fa sentire inadatto e ansioso nei confronti di quello che succederà.


(G) Minacce:
Situazione che accade spesso per riprendere in qualche modo l’autorità e per “farsi ascoltare in qualche modo.
La più frequente è: “se non la smetti di piangere vado a casa!”,minaccia dell’abbandono.
provoca
(F) Sfiducia in sé:
Non si sente adeguato o eccessivamente ripreso ed è portato a reprimere le proprie manifestazioni.
La minaccia dell’abbandono è vissuta da questa parte come un vero e proprio abbandono affettivo,creando un ulteriore stato di ansia.

(G) Abbandono affettivo:
Abbandono fisico e psicologico.
Presenza fisica ma non di aiuto psicologicamente,non di supporto e conforto.
provoca
(F) Aggressività-ostilità
Il bambino possiede inoltre una identità propria da non trascurare per nessun motivo,e gli esiti emotivi sopracitati la riguardano a tuttotondo anche se ho quì elencato le linee generiche a cui si fa generalmente riferimento per la comprensione degli stati d'animo. Questa identità si basa su alcuni "sfondi di gettatezza" che sono punti di riferimeno su cui questa anche se abbozzata identità si basa;questi sono il CORPO PROPRIO,egno concreto del suo limite e la cognizione di esso fa superare l'iniziale senso di onnipotenza,che porta talvolta nei casi di presenza di malattia alla identificazione con la stessa;e il MONDO STORICO che in questo caso è l'ambiente in cui il bambino è costretto a vivere (ospedale),oggettivo,estraneo e frustrante.

lunedì 2 febbraio 2009

Malattia e genitorialità-3 CASO 2:L'intervento chirurgico



La pratica chirurgica può provocare nei genitori sentimeni di timore spesso direttamente proporzionali ai rischi più o meno evidenti di quest'ultima. Reazioni emotive come;il rifiuto,il sentimento di colpa e di impotenza,e il timore dell'idea di abbandonare il proprio bambino o che lo stesso si senta abbandonato e trascurato(relativo al momento dell'operazione in cui il genitore viene suo malgrado allontanato). La prima angoscia è provocata dall'induzione dell'anestesia,che è di per se una procedura dolorosa,successivamente la preoccupazione sale per il ricovero in terapia intensiva,spesso con delle regole prestabilite rigide che compromettono la vicinanza dei genitori al proprio figlio (ammissione controllata con nessuna regolarità nella frequenza),tanto più il bambino è piccolo quanto più è difficile riuscire ad elaborare queste separazioni con il controllo degli stati di ansia. Un'altro elemento che può provocare ansia e preoccupazione è il "non riconoscere il proprio figlio" in un'ambiente così distante da quello famigliare,vederlo stordito,disperato e così lontano,con l'angoscia che questo possa portare a ledere il legame famigliare così importante e sensibile sopratutto con il bimbo piccolo.

giovedì 29 gennaio 2009

Malattia e genitorialità-2 CASO 1/ La malattia congenita



La malattia congenita è il caso di malattia del bambino che in assouto provoca maggiore squilibrio e sentimenti negativi all'interno dell'ambiente famigliare. Prima di tutto la coppia genitoriale di fronte alla presa di coscenza della malattia genetica del loro bembino subiscono una pericolosa discrepanza tra ciò che vedono al momento della nascita e ciò che invece si aspettavano durante il periodo dell'attesa,questo provoca un sentimento predominante che è il senso di colpa,verso il comportamento della madre durante la gravidanza,o per la componente genetica "malata"trasmessa al figlio. Al momento della nascita il genitore deve quindi in un certo senso elaborare il lutto del bambino che aveva idealizzato e nello stesso tempo gestire l'angoscia per il bambino nato malato reale. A questo primo impatto si sussegue il momento della diagnosi della malattia,la prospettiva di un lungo iter terapeutico e diagnostico,e le conseguenti ansie e timori per il futuro sociale del bambino che diventerà adulto. La diagnosi corrisponde al primo vero choc che porta all'attivazione immediata del primo meccanismo di difesa:LA NEGAZIONE nei confronti della diagnosi,del medico (questo porta spesso a voler sentire altri pareri),e in alcuni casi anche del bambino (nei casi estremi si arriva addirittura alla speranza che il bambino muoia). Questo sentimento precipita all'interno della coppia al punto da causare un'allontanamento,dovuto talvolta ad una sorta di isolamento (chiusura in sè stessa) da parte della madre che impiega molto più tempo a metabolizzare il trauma,perchè si trova a dover sciogliere il già comunque stretto legame instaurato con il bambino delle aspettative in un cert senso già generato durante l'attesa. I sentimenti che si susseguono sono il senso di colpa (matabolizzare e chiedersi il perchè),rabbia,frustrazione (collegato in un certo senso al sentimeno di impotenza),lutto (nei confronti del progetto esistenziale) e infine la razionalizzazione. Una delle tecniche più comuni per fronteggiare questi sentimenti è l'identificazione da parte dei genitori con il personale sanitario che li porta a capire ed imparare come prendersi cura del proprio figlionel quotidiano e nelle situazioni di emergenza. Il sentirsi davvero utili in questo senso compensa in parte il sentimento negativo di non sentirsi bravi genitori che,se trascurato potrebbe avere effetti negativi sul rapporto con il bambino.

martedì 27 gennaio 2009

Malattia e genitorialità-1

Come si colloca la malattia del bambino in una dimensione famigliare pocanzi presentata che presenta di per sè innumerevoli problematiche?

La malattia può essere vissuta da parte dei genitori come MINACCIA che provoca sensazioni di angoscia,di rifiuto,di negazione e una sorta di fuga dall'idea o addirittura dalle responsabilità che questa comporta. Oppure può essere vissuta come una sorta di FALLIMENTO che provoca senso di colpa nei genitori;questo accade sopratutto nel caso delle malattie congenite (dalla nascita),genetiche,o contratte durante il periodo della gravidanza. In ognuno dei due casi si ha una improvvisa compromissione del progetto esistenziale del figlio e dell'equilibrio famigliare,poichè la malattia del bambino provoca una delusione delle aspettative ontologiche (insieme dei desideri che durante il periodo dell'attesa della nascita si costruiscono per il propio figlio) e costringe i genitori a scontrarsi con una dura realtà che spaventa e di fronte alla quale non sono preparati.
Questo sconvolgimento degli equilibri e delle aspettative provoca degli esiti sull'atmosfera emotiva dei genitori: ANGOSCIA derivata dal timore della morte del figlio,cioè dal pericolo di perdere l'oggetto del proprio investimento emotivo,FRUSTRAZIONE legata al "lutto" per il proprio progetto educativo-assistenziale e infine come prima accennato SENSO DI COLPA,causato da presunte responsabilità agite intenzionalmente o per negligenza (spesso scaricata dall'uno all'altro nella coppia,compromettendo nuovamante quel che resta del già precario equilibrio).

lunedì 26 gennaio 2009

Famiglia e società



La famiglia così come presentata nel post precedente và inevitabilmente a collocarsi in un contesto sociale che la trasforma da unità emozionale chiusa a "luogo della società" in cui si sperimenta il vivere sociale e da cui si fa attraversare. Da questo incontro-scontro provengono una sorta di "fragilità epocali" che sono i problemi provenienti dalle caratteristiche sociali che si riperquotono ulle dinamiche interne della famiglia. Innanzi tutto è necessario prendere in considerazione la nuova funzione della famiglia derivata da svariati mutamenti culturali avvenuti negli anni,infatti se nei secoli passati la funzione della famiglia era quella primaria di garantire la sopravvivenza in cui crescere in modo sano i figli,in questi ultimi anni è diventata luogo nel quale promuovere la serenità dei membri e di protezione dalle frustrazioni provenienti dall'esterno,questo la rende inevitabilmente più esposta al fallimento rispetto alla vecchia concezione. Questa nuova famiglia prevede anche dei nuovi ruoli genitoriali nati per contrasto ai vecchi ruoli dei loro genitori e quindi un vero e proprio rifiuto al modello di educare dei loro padri e madri che però si contrappone alla richiesta di aiuto quando questi ultimi diventano nonni,ai quali per molteplici motivi vengono affidati spesso i nipotini. A questo si aggiungono le famiglie sole;chiuse nel loro nucleo a causa della fretta derivata dai tempi lavorativi o addirittura dal timore dello scontro sociale,questo porta ad una scarsa rete di relazioni sociali,questa ottica si contrappone alla famiglia vecchio stampo in cui era normale il fenomeno della "genitorialità diffusa" basata sulla fiducia nell'altro anche come punto di riferimeno a cui affidare i figli. Questo cambiamento di stato è accompagnato talvolta da una distorsione della scelta di diventare genitori,alla quale si arriva in alcuni casi per motivi poco sani per il benessere del nascituro,ad esempio per necessità di completare identità vacillanti degli adulti,per ottenere una sorta di indipendenza dai genitori,o per dimostrare qualcosa alla società,a questo si accompagna spesso una distorsione nei valori perseguibili,quindi la tensione e attenzione eccessiva al benessere economico che può comportare una pericolosa protezione dei membri al punto da renderli impreparati di fronte anche alle più banali difficoltà. Infine per completare il quadro a queste oggettive problematiche si aggiungono le eventuali fragilità personali degli adulti nel diventare genitori;le più note caratterizzanti del quadro sociale odierno sono la costruzione della figura del padre degli affetti,che ha quindi la condizione famigliare in cui dover svolgere la funzione genitoriale materna con allo stesso tempo il dover di mantenere un'autorità limite,mentre da parte della madre spesso cresce il sentimento di non sentirsi una buona madre a causa di eccessivi impegni di lavoro,ma con il filo conduttore di esercizio delle funzioni di madre.

In tutti questi casi il segreto stà nella capacità di costruire e mantenere legami STABILI e duraturi tra i membri della famiglia,nata per essere un punto di riferimento che deve rimanere tale durante tutto il percorso di vita.

domenica 18 gennaio 2009

False credenze sul dolore

Con questo mio post desidero invitarvi a riflettere su quanto talvolta le strutture sanitarie e gli operatori che lavorano in ambito sanitario possiedano e portino avanti convinzioni sui pazienti,sulla malattia e in questo caso sulla concezione del dolore che siano altamente distorte con il rischio di orientare un intervento in modo errato.
Riporterò alcuni pregiudizi sul dolore del bambino che sono stati rilevati attraverso una ricerca attuata tramite un questionario agli operatori in campo sanitario:

-I ambini in particolare se piccoli non provano dolore o non ricordano il dolore provato.
Falso-poichè esiste una memoria fisica del dolore che permette di "ricordarlo"anche a distanza di anni.

-Il dolore non uccide e non ha effetti a lunga durata.
Falso-lo stress psicologico dato dal dolore può condurre alla morte.

-i bamb.recuperano in fretta,un bamb.attivo non prova dolore.
Falso-naturalmente i tempi di recupero sono soggettivi e talvolta sono maggiori se il bambino è spaventato dal proprio stato fisico.

-C'è un grado di dolore per ogni sintomo,di più non è dolore ma paura.
Falso-al di là dell'oggettività di un sintomo agisce la soggettività e la fragilità fisica o psicologica del singolo individuo.

-I bambini dicono sempre la verità sul dolore provato.
Falso-i bambini mentono quando capiscono che il loro dolore è causa di sofferenza per le persone che amano e quando capiscono che ammettere il dolore significa urgenza di un ulteriore provvedimento(es.iniezione).

-I genitori sanno tutto sul dolore del loro bambino.

-Il bambino piange per paura non per dolore.
Falso-al più la paura è un'aggravante dello stesso dolore.

giovedì 8 gennaio 2009

Sensibilità:un'arma a doppio taglio?

Secondo voi....essere sensibili nel nostro lavoro è un limite o una risorsa? è una ulteriore barriera o un elemento che favorisce la buona riuscita di una relazione che si possa chiamare educativa???
A mio parere può essere una sottile arma a doppio taglio,che può creare un ponte ma nello stesso tempo essere un vincolo,credo che un buon educatore deve sapere quando è il caso di applicare il cuore ma deve sempre comunque essere guidato da una pianificata linea guida derivante dalla ragione,solo così si può distinguere un'intervento che si può dire "professionale "su ogni fronte.
Mi sono sentita di accendere questo dibattito perchè essendo a stretto contatto con i bambini malati è facile perdere la strada che fa rimanere con i piedi saldi a terra,come è facile farsi ingannare dalla troppa emotività derivata dalla sensibilità che è una dote necessaria per qualsiasi operatore sociale....ma più che sensibilità direi senso di UMANITA'quello che ci fa superare l'egoismo e ci fà capire di essere davvero adatti ad un lavoro che si occpa non solodella collettività,ma pure della salute e del benessere sociale...ben lontano dall'egoismo individuale.
Essere sensibili a mio avviso è tuttavia indispensabile nel nostro lavoro,e si tratta di sensibilità anche nel omento in cui si avverte di dover necessariamente prendere le distanze da un caso per concentrarsi sugli scopi e gli obiettivi di un progetto...ma è così difficile lavorare con le persone e ricordarsi di applicare ogni cosa che in 3 anni a livello prettamente teorico ho imparato....entrano in gioco tante dinamiche che fanno nettamente passare la teoria in secondo piano.

venerdì 2 gennaio 2009

Primo approccio educatore-bambino


Attraverso la mia esperienza di tirocinio presso il reparto di pediatria dell'ospedale di Legnago (VR) ho potuto constatare di persona quanto sia delicato il rapporto diretto con qualsiasi tipo di paziente ricoverato in un ospedale per brevi o lunghe degenze,di quanto sottile sia,sopratutto se si tratta di un piccolo paziente,la linea tra l'approccio utile al fine di iniziare una relazione educativa e l'invadenza. Mi spiego meglio;nel mio caso il mio compito sta nel progettare interventi educativi di brevissima durata incentrati su utenti che spesso vedo solo da un paio di ore al massimo di una giornata intera,solo nei casi più gravi dai 2 ai 10 giorni.Ora,immaginiamoci un bambino provato da una qualsiasi malattia o trauma,preso dall'ambiente degli affetti per eccellenza quale è la casa famigliare e "sbattuto" in un altro luogo ostile,per nulla famigliare circondato da persone che in un modo o nell'altro invadono la sua privacy,all'apparenza "cattive" (perchè nella mente del bambino il solo dato di fatto che queste gli provochino dolore fisico va immediatamente a collegarsi con l'etichetta negativa) e con tutti gli stress derivanti da:tempi ospedalieri,preoccupazione dei genitoiri,malessere fisico al quale non saper dare una spiegazione,anche se si tratta di un semplice disagio passeggero dovuto ad un banale esame del sangue...come intervenire?
Il reparto in cui faccio esperienza è dotato di una sala giochi situata non a caso proprio di fronte alla porta di entrata del reparto stesso,quella stanza la chiamo"il mio regno"poichè la mia presenza è strettamente collegata al solo esistere di quella stanza. Prima o poi tutti i bambni ricoverati,di passaggio o in OBI (osservazione breve intensiva)passano di lì,osservando il continuo andirivieni e il groviglio di umori e sensazioni che passano durante una sola giornata ho sviluppato una teoria;secondo me la cosa migliore è che i bambini provino interesse per qualcosa che sto facendo o per un'attività che sto già in prima persona andando a svolgere,permettendo così un primo approccio con alla base l'interesse e la curiosità fatto di sguardi,di sorrisi e di attenzioni. Successivamente andrò io a rompere il ghiaccio con le prime frasi di conoscenza per procedere poi con il supporto dei genitori con attività di animazione,ricreazione ed educazione sanitaria. Procedendo in questo modo ho potuto notare che il bambino non si sente aggredito dalla persona estranea e 9 volte su 10 non mette in atto meccanismi di difesa o di rifiuto,può sembrare banale ma ho visto che è molto efficace. Lavorare con i bambini tra le mille cose permette di sviluppare un occhio di riguardo su alcune cose che spesso vengono considerate scontate o ancora peggio banali a priori,spero sia utile a far riflettere...