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lunedì 9 febbraio 2009

Il bambino e l'ospedale


Nell'ottica della presa di coscenza di qualsivoglia malattia,intervento o disturbo congenito,non si può trascurare l'assidua frequentazione del bambino e i suoi genitori con l'ambiente ospedaliero o struttura sanitaria,che in questo caso l'ospedale diventa non solo struttura finalizzata alla guarigione,alla cura,o alla terapia,bensì agli occhi del bambino diventa una sorta di "prigione",poichè si trova di fronte ad una vera e propria istituzione rigida,con regole,competenze,spazi,tempi e figure dietro alle quali si nascondono molte persone,che rappresentano un limite non trascurabile per il bambino che deve suo malgrado entrarne in contatto. Le dinamiche di una struttura sanitaria sono infatti severe e frenetiche,e spesso non hanno spazio per il lato umano della relazione,così come le figure che operano in tale campo spesso non hanno tempo nè strumenti adeguati per curare anche questo lato,trascurando così talvolta in modo involontario un'importante elemento che entra in gioco anche dal punto di vista della terapia e della cura:lo stato di benessere anche se relativo dato dalla relazione umana.
Per essere più concreta riguardo alle dinamiche interne,riporterò di seguito l'estratto da una ricerca operata da alcuni studenti in diversi ospedali negli anni 70',questi dati saranno spunto per una riflessione comparata con la situazione ospedaliera di oggi:
Assetti organizzativi:Prima cosa tra tutte all’interno della struttura ospedaliera si è andata cercando l’unità bimbo-madre senza peraltro trovarla,perché per essa non c’è ne tempo,ne spazio,ne modo…
Due,come due modi per intendere il tempo:quello di visita e il tempo materno,il primo è spesso ristretto e con orari davvero impossibili;il secondo,spesso privato dal primo non fa che permettere all’ansia di crescere sia da parte della madre preoccupata per il figlio,sia da parte del bambino che non può comprendere la sottrazione dalla stessa.
Zero,come la possibilità di spazio che ha la madre se si deve intrattenere con il figlio;i lettini sono troppo vicini e non esistono spazi adibiti davvero all’assistenza della madre che in queste condizioni così precarie non si può senz’altro prendere cura del bimbo in modo considerevole,ne tanto meno tentare di ristabilire la complicità e l’intimità che per il bimbo è sempre e comunque di vitale importanza.
Uno,come l’unico e insostituibile modo che hanno di capirsi e di sostenersi l’un l’altro il bambino con la sua mamma,che viene bruscamente minato e infine privato da quel tempo e quello spazio che senza il minimo scrupolo tolgono alla degenza tutto ciò che di davvero umano e vivo per il piccolo ci possa essere.
La presenza della madre in reparto è considerata brutalmente un ingombro,come vedremo anche di seguito,il quale cerca in ogni modo per quanto possibile di eliminarla,senza considerare invece l’importanza che,in termini anche medici,può avere pure sulla stessa terapia oltre che sul morale del bambino o sul mantenimento o costruzione di identità.
Il medico:Tutti i medici intervistati,con qualche lieve sfumatura,hanno espresso qualche insoddisfazione per il tipo di assistenza pediatrica da loro stessi erogata,questo nasce dalla apparente consapevolezza che le esigenze del bambino ricoverato non si esauriscano nell’assistenza medica,ma nello stesso tempo la sfiducia nell’utilità e nella possibilità di tradurre tale consapevolezza in proposte pratiche.
Questo a parer loro è imputabile all’insufficienza di mezzi,all’eccesso di compiti,alla scarsità del personale,alla pesantezza di turni,e tutto questo secondo i medici non può coincidere con l’ulteriore ingombro creato dalla presenza delle madri in reparto. Queste giustificazioni sono in realtà tentativi più o meno inconsci di rimuovere dalla coscienza il problema di fondo,annullano i termini stessi del problema e con essi il dovere di riconoscerlo e la necessità di risolverlo. Inoltre è stato riscontrato un preoccupante processo di cosificazione del paziente da parte del medico,quindi nel caso della considerata unità madre-bambino,il bambino è l’organo malato della madre e la madre è la coscienza vigile del figlio,questo rende il paziente ancora più complesso da dover affrontare,ed è questo stesso motivo che produce nel medico una notevole ansia classificata come “orrore della madre”,ecco quindi perché cerca in tutti i modi di allontanarla,per potere esercitare attraverso la medicina strumentale il potere del comando senza una unità vigile a cui dover in ogni caso rendere conto.
L’infermiera:”l’infermiera è nell’ospedale in rapporto con il suo reparto o sala o servizio come l’operaio è nella fabbrica in rapporto con la sua macchina ed il suo lavoro:come lui non può separarsene e deve difendersene nello stesso tempo”
Le sue prestazioni sanitarie sono qualitativamente le più povere,largamente sopraffatte da quelle di servizio,mai comunque gratificate di motivazioni e di ruoli( “…l’infermiera è l’ultimo anello e sa di esserlo”). La maggior parte delle infermiere sostiene che la presenza delle madri finisce per complicare il loro lavoro già comunque faticoso,ma nonostante questo spesso il bambino ospedalizzato e la madre trovano proprio nell’infermiera quella tenerezza e quell’attenzione umana che hanno inutilmente cercato in altri senza mai averla trovata.
(Lettura e commento critico al saggio:
“Il bambino è dell’ospedale?”
A.Maccacaro,Feltrinelli,Milano 1976)
Alla luce dei dati che ho riportato si può davvero dire che gli anni hanno portato una sorta di progresso?trascurando alcune rare e preziose strutture specifiche dotate di ambienti e organizzazioni atti allo sviluppo del progetto educativo,si può affermare che oggi nel 2009 le strutture ospedaliere possiedono elementie e risorse umane e materiali per operare nel campo della relazione educativa oltre che naturalmente della cura?come sono cambiate le figure professionali e gli ambienti?

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